Il Summit dell’8 - 10 luglio è la conclusione di un processo negoziale che si è svolto negli ultimi dodici mesi. Per quanti hanno seguito il percorso preparatorio, era evidente che il Summit correva il rischio di un fallimento clamoroso rispetto al compito che gli otto grandi sarebbero stati chiamati a affrontare: dare un segnale concreto del fatto che i Paesi più ricchi sono consapevoli del destino comune del mondo intero, che oggi deve affrontare le conseguenze di più crisi, ovvero quella finanziaria, alimentare e ambientale.
La crisi di credibilità del G8 è stata poi alimentata da cambiamenti profondi nel quadro degli equilibri internazionali, dove è evidente la presenza sempre più attiva dei Paesi emergenti, fra i quali grandi potenze come Brasile, Cina e India. Una crisi di credibilità che ha preso anche la forma di una competizione fra vertici e formati: G8 versus G20, e viceversa. In questo contesto, la presidenza italiana non sembrava avere l’autorevolezza necessaria per affrontare un compito difficile: il biglietto da visita era stato il taglio del 56% delle risorse per la lotta alla povertà del Ministero degli Affari Esteri, proprio all’inizio del 2009.
Dubbi sulle sorti del G8 non sono certo superati, ma il fiasco è stato evitato. In particolare, da questo Vertice escono importanti segnali su più fronti.
Il Vertice de L’Aquila ha lanciato un’iniziativa dedicata alla sicurezza alimentare. Si tratta di un risultato che è la conclusione di un percorso avviato a partire dall’appello lanciato dalla FAO nel giugno 2008 per iniziative urgenti per battere la crisi alimentare e invertire la tendenza di questi ultimi dodici mesi, nei quali più di 100 milioni di persone sono finite sotto la soglia della fame e della povertà. Questa iniziativa ha preso forma in una dichiarazione ad hoc, i contenuti della quale sono stati in discussione fino all’ultimo momento. L’iniziativa del Presidente Obama ha dato un impulso decisivo. La dichiarazione è stata firmata da tutte le delegazioni presenti al Vertice e non soltanto dagli otto.
La dichiarazione prevede che nei prossimi tre anni vengano spesi 20 miliardi di dollari in aiuti all’agricoltura, per la sicurezza alimentare e per uno sviluppo agricolo sostenibile. E’ un obiettivo insufficiente: la FAO stima che siano necessari 30 miliardi di dollari all’anno per assicurare a tutti il diritto al cibo; secondo Actionaid, i Paesi del G8 dovrebbero dare un contributo pari a 23 miliardi di dollari all’anno per raggiungere questo obiettivo, in base al loro peso economico. Si tratta di impegni alla portata dei bilanci dei grandi Paesi industrializzati, che negli ultimi mesi hanno investito decine di migliaia di miliardi in riposta alla crisi finanziaria.
Deve essere ugualmente riconosciuto che l’accordo raggiunto a l’Aquila in materia di sicurezza alimentare rimette al centro dell’agenda la questione degli investimenti del settore agricolo, che degli ultimi venti anni sono passati dal 17% del totale degli aiuti a circa il 3%.
Non mancano contraddizioni nella posizione concordata nel Vertice, come nel caso dell’indicazione del mercato come una leva fondamentale per affrontare la lotta alla fame e, al medesimo tempo, il riferimento giusto e opportuno al ruolo decisivo dei piccoli produttori, che sono un attore fondamentale poiché sono in prima linea nelle comunità che soffrono la fame. Non mancano dubbi anche sulla trasparenza di questi impegni, nel senso che dovremo monitorare quali risorse verranno effettivamente contabilizzate, e se quindi verranno effettivamente prese in considerazione solamente quelle destinate all’agricoltura, o non verranno invece contabilizzati anche gli aiuti alimentari di emergenza, che sono cosa giusta, ma diversa in termini di sviluppo agricolo. Non mancano quindi gli elementi di preoccupazione, ma rimangono anche gli elementi positivi, a partire dai quali si può continuare a lavorare nei prossimi mesi.
Sul fronte dei cambiamenti climatici, il G8 ha trovato un accordo per raggiungere una riduzione dell’80% delle emissioni entro il 2050, e sostenere una riduzione a livello globale del 50%. Questa articolazione di obiettivi ‑ quelli adottati dai Paesi G8 e quelli che devono essere condivisi con il resto della comunità internazionale ‑ riflette l’assenza di un accordo globale su risultati di lungo termine. In questo senso, è nota la posizione dei Paesi emergenti, che sostengono di non poter sottostare a condizioni che impediscono loro la crescita economica. Il Vertice nel suo complesso ha fallito completamente, sia a livello G8 sia del complesso dei Paesi presenti a L’Aquila, nell’identificare degli obiettivi intermedi, sui quali si è fatta sentire anche in questi giorni la voce delle organizzazioni non governative (una riduzione del 40% entro il 2020).
Sul fronte dei cambiamenti climatici, un elemento positivo è l’accordo globale raggiunto in merito alla soglia di incremento di 2 gradi centigradi rispetto ai livelli di pre‑industrializzazione, al fine di contenere il riscaldamento globale; da questo elemento si può ripartire per cercare di arrivare a un accordo alla conferenza sui cambiamenti climatici di Copenhagen, che si svolgerà a dicembre sotto l’egida delle Nazioni Unite. Totalmente insufficiente è il risultato del Vertice in materia di risorse necessarie per mitigare e combattere le implicazioni dei cambiamenti climatici, per i quali i documenti ufficiali si limitato a richiedere l’impegno della comunità internazionale senza fissare impegni precisi.
Il fronte degli aiuti all’Africa è fra quelli che hanno sollevato maggiori preoccupazioni poiché il Vertice si è limitato a ripetere gli impegni presi nel Summit del 2005, nel quale si concordava di portare le risorse per il continente africano a 50 miliardi di dollari l’anno entro il 2010. Le organizzazioni internazionali hanno messo in evidenza i ritardi rispetto a questo obiettivo (nel 2008 mancavano ancora 20 miliardi di dollari), ma dal Vertice non sono giunti segnali incoraggianti (ad esempio, piani completi dell’indicazione dei tempi di esborso). Il G8 ha, d’altro canto, lanciato un segnale positivo pubblicando rapporti di verifica su quanto è stato fatto in questi ultimi anni nel campo dell’alimentazione, dell’educazione, della salute e dell’acqua. Da questi documenti emerge con chiarezza il fatto che i diversi Paesi operano spesso con metodologie differenti e può essere difficile capire fino in fondo la portata delle iniziative annunciate e intraprese; il G8 è oggi un po’ più trasparente, un elemento che cercheremo di utilizzare nella nostra azione di sensibilizzazione e pressione.
L’Italia non ha dato, nei giorni del Vertice, i segnali necessari a rendere credibile la propria iniziativa. In particolare, è mancato l’annuncio del piano per riallineare la cooperazione italiana con gli obiettivi europei, per portare gli aiuti dall’attuale 0,22% della ricchezza nazionale allo 0,51% entro il 2010 e lo 0,7% entro il 2015. Sulla possibilità di questo piano si erano espressi positivamente sia il Ministro degli Esteri sia quello delle Finanze, ma è mancato un annuncio conclusivo da parte del capo del governo. Il Presidente del Consiglio ha invece preso un solenne impegno nella conferenza stampa del 9 luglio in merito al versamento della quota per il 2009 al Fondo globale per la lotta all’HIV Tubercolosi e malaria: 130 milioni di euro entro “la fine del mese”. Manca all’appello ancora un chiarimento su quale sarà la parte italiana dei 20 miliardi di dollari per l’agricoltura; ci sono dichiarazioni che attribuiscono al nostro Paese un impegno di 450 milioni di dollari, ma non è ancora chiaro se si tratti di risorse nuove, che potranno almeno compensare i tagli introdotti con la finanziaria per quest’anno.
Evitato il fiasco, il G8 ha appena tracciato una strada che andrà percorsa con impegni a livello nazionale e in occasione dei prossimi forum internazionali, a partire dal vertice G20 settembre a Pittsburgh.
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